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Depressione post partum: fattori di rischio, sintomi e cure

Depressione post partum. Baby blues. Ma cosa sono davvero? Quante donne riguardano? Quanto durano? Come si curano? E quali sono i campanelli d’allarme da tenere d’occhio? A spiegarlo in una intervista ufficiale è il professor Claudio Mencacci, Presidente della Società Italiana di Psichiatria.

«Le stime più precauzionali dicono che la depressione post partum colpisce circa il 10-15% delle donne. Ma attenzione: queste cifre minoritarie non tengono conto del “sommerso”. In larga parte i casi di depressione post partum non vengono diagnosticati».

Perché?

«Colpa di pregiudizi e luoghi comuni secondo i quali la gravidanza e il periodo successivo al parto debbano essere solamente un momento di gioia e felicità. Ma per molte donne non è così: è anche un momento di vulnerabilità. E non c’è nulla di cui vergognarsi.

Come Società italiana di Psichiatria, stiamo lavorando per sconfiggere lo stigma sociale e quei contesti che ancora oggi sono portatori di luoghi comuni.

In questa battaglia sono molto importanti i corsi pre-parto e le campagne di sensibilizzazione per individuare la depressione post partum per quello che davvero è: un fenomeno la cui natura è fortemente biologica. Non si fanno valutazioni di carattere morale o di fragilità: è una condizione per cui noi sappiamo che ci sono donne che hanno fattori di rischio maggiori, che possono essere riconosciuti anche prima della gravidanza».

Quali sono questi fattori di rischio?

«In primo luogo, la familiarità. Ovvero che ci siano stati in famiglia – sia in linea diretta che indiretta (genitori e nonni, ma anche zii, cugini, etc) – precedenti di disturbi depressivi e da ansia.

Il secondo fattore di rischio si verifica se la donna, prima della gravidanza, ha già sofferto di una problematica depressiva. Se è esposta a cure quando resta incinta, è molto importante non interrompere la terapia affidandosi al fai-da-te. Bisogna affrontare la problematica in modo serio con uno specialista: spesso le terapie anti-depressive possono essere continuate senza alcun rischio per il feto.

Terzo fattore di rischio: spiccate sensibilità e vulnerabilità ormonale. Come chi, per esempio, soffre di cicli forti e dolorosi. O magari chi, a seguito dell’uso di pillola anti-concezionale, abbia manifestato sbalzi d’umore particolarmente significativi.

Altri indicatori da tenere sott’occhio sono una forte ansietà nella fase pre-natale e condizioni di carattere ambientale: gravidanza non desiderata, rapporto difficile con il partner, scarsi o inadeguati supporti psico-sociali. Ma anche situazioni di vita particolarmente stressanti, come un intervallo molto breve tra due gravidanze o perdita del lavoro. O ancora: lutti/malattie in famiglia e un basso livello socio-economico.

In particolare, comunque, la familiarità e una pregressa storia psichiatrica della donna sono presenti in circa il 50% dei casi diagnosticati».

Esiste anche una fascia d’età più predisposta?

«In linea di massima, non c’è una specifica fascia d’età. Sappiamo che ci sono maggiori rischi per patologie più gravi (anche forme psicotiche nel post partum) legate a un’età avanzata della donna. Ma la “normale” depressione post partum è più comune nelle primipare (donne al primo figlio) o, come sottolineavo prima, in caso di intervallo troppo breve tra due gravidanze. O ancora nei casi in cui ci siano problematiche nello sviluppo del feto».

Abbiamo parlato dei fattori di rischio. Ma esistono anche fattori protettivi?

«Sì. Si va dalla preparazione dell’ambiente a un riconoscimento precoce dei campanelli d’allarme. Per questo come Società italiana di Psichiatria poniamo particolare attenzione a tutta la fase della gravidanza.

La depressione può avvenire anche mentre si è in attesa, non solo nel post partum. Così come si può soffrire di un’ansia specifica, soprattutto attorno alla 32esima settimana. Tutti fattori che possono essere indicatori di sviluppo di una patologia conseguente».

Depressione post partum e maternity blues (o baby blues) sono la stessa cosa?

«No. Il 70-80% delle neomamme sviluppa il maternity blues. Si tratta di una condizione totalmente fisiologica e naturale. Solo il 20% di queste donne sviluppa anche una depressione post partum.

È fondamentale non confondere le due condizioni.

Un conto è affrontare con attenzione e premura le giornate di maternity blues, rassicurando la mamma, aiutandola a dormire e a riposarsi. Un altro conto, invece, è curare la depressione post partum, che è un condizione ben più grave».

Quali sono le differenze tra maternity blues e depressione post partum?

«Intanto la tempistica di insorgenza. Il maternity o baby blues si manifesta nei giorni immediatamente successivi al parto. La depressione post partum invece solitamente si manifesta almeno un mese dopo il parto e diventa sempre più evidente intorno al quarto mese. Ma ci sono anche casi in cui insorge 9-11 mesi dopo il parto.

Inoltre, depressione post partum e maternity blues si distinguono per l’intensità e la durata dei sintomi.

Nella depressione post partum non c’è solo una labilità emotiva: ma si registra un netto abbattimento dell’umore, sentimenti di colpa, di inadeguatezza. Una svalutazione di se stesse, irritabilità, stato di allarme e ansia anche fisica, con palpitazioni, nodo alla gola. Si soffre di importanti alterazioni del sonno e dell’appetito. Insomma: si tratta di una condizione complessa.

La donna che ne soffre ci dice di non avere mai pianto tanto e tanto facilmente. Di litigare continuamente con il suo partner. Di avere pensieri negativi su se stessa e il bambino. Di non farcela. Di sentirsi sul filo del rasoio».

Quanto dura in media una depressione post partum?

«Se viene diagnosticata e curata, dopo 3-4 settimane iniziano i benefici. La depressione viene curata mettendo in campo interventi di varia natura, che comprendono la terapia farmacologica e la psicoterapia o gruppi di rilassamento, ma anche azioni che puntano ad alleggerire la condizione della donna. Per esempio, aiutandola nell’organizzazione del sonno o sostenendola nelle riflessioni relative alla prosecuzione dell’allattamento, qualora sia percepito come un peso particolarmente gravoso».

E se non viene diagnosticata?

«Si può trascinare per molti mesi. Con serie conseguenze sulla relazione madre-bambino. Ricordiamoci che la depressione è un fenomeno sistemico: non induce solo “cattivo umore”. Ma anche problematiche a livello cardiaco, circolatorio, endocrinologico, respiratorio, immunologico… È una condizione di criticità per tutto il corpo.

Il bambino ovviamente risente della mancanza di calore e carezze da parte della madre, della sua incapacità di essere affettuosa. Ormai sappiamo che le coccole della mamma hanno un impatto sul corretto sviluppo sia del sistema nervoso centrale del piccolo, sia sulle sue capacità di gestire l’ansia.

In molti casi, problematiche emotive che si manifestano in età scolare o adolescenziale possono nascere anche da questo disturbo della relazione madre-bambino».

Partner e famiglia: come possono aiutare la neomamma che soffre di depressione post partum?

«In primo luogo, aiutatela a ricevere diagnosi e cura. Poi alleviate gli impegni della mamma: occupatevi dei lavori domestici, limitate i visitatori, aiutatela ad avere buon riposo e a dormire. E ascoltatela. È importante anche che la neomamma segua una dieta adeguata: per esempio, riducendo gli alimenti eccitanti come tè e caffè.

Insomma: si tratta di poche e semplici cose. Che però vanno fatte. Con questi accorgimenti si crea un ambiente accogliente e protettivo nei confronti della donna in questa condizione che torno a dire non tradisce una fragilità particolare, ma è biologicamente determinata. E che – se riconosciuta – è assolutamente curabile e guaribile».

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