Ci sono quelle frasi che un tempo facevano parte del tirare su un bambino, cose tipo: “Se non fai il bravo, arriva l’uomo nero” o “Vedrai quando stasera torna tuo padre…“.
Frasi vecchia scuola che farebbero rivoltare la buonanima della Montessori nella tomba, e che definire politicamente scorrette è un eufemismo.
Rispetto al passato, oggi si pone una maggiore attenzione sia a quello che si dice ai bambini, sia a come lo si dice.
Le parole sono importanti
«Chi parla male, pensa male e vive male», diceva Nanni Moretti in una scena cult di Palombella Rossa (e sì, per questo aggettivo – “cult” – temo che mi beccherei pure io uno sganassone come la malcapitata giornalista che lo intervista nel film).
Eppure, ci sono frasi che tutti noi, almeno una volta, se non addirittura abitualmente, diciamo ai nostri figli, ma che secondo gli esperti dovremmo evitare.
Espressioni, modi di dire radicati nell’uso comune solo apparentemente innocui, ma che in realtà trasmettono messaggi poco appropriati.
1. «Solo con l’esercizio si raggiunge la perfezione»
Perché no: il messaggio sotteso è che, se il bambino compie degli errori, allora vuol dire che non si sta impegnando abbastanza. Questo può frustralo e portarlo a credere che ci sia “qualcosa di sbagliato in lui”.
Diciamo invece: «Solo con l’esercizio si migliora».
Questa frase lo spinge a impegnarsi e a essere fiero dei propri progressi, ma senza tendere a una ideale quanto irraggiungibile “perfezione”.
2. «Non è successo niente»
Perché no: Se tuo figlio cade a terra o si sbuccia un ginocchio e scoppia in lacrime, il tuo primo istinto probabilmente è quello di rassicuralo, dicendogli che non è successo niente. Ma dirgli che sta bene, lo farà solo sentire peggio.
«Se il bambino piange, vuol dire che non è tutto ok. Il compito dei genitori è insegnare ai figli a capire e gestire le proprie emozioni, non quello di metterle in discussione», spiega Jenn Mann, autrice de “The A to Z Guide to Raising Happy, Confident Kids“.
Diciamo invece: «Che brutta caduta. Vuoi un cerotto o un bacino (o entrambi)?».
3. «Sbrigati!»
Perché no: A volte, il tempo che tuo figlio riesce a impiegare per mangiare un biscotto sembra infinito. Quante di voi conoscono la situazione? La colazione che si prolunga, il bambino che dopo insiste per vestirsi da solo, i minuti che passano… Uscire di casa in tempo sembra un miraggio. Ma esortarlo a “sbrigarsi” servirà solo ad aumentare lo stress.
Diciamo invece: «Dobbiamo fare in fretta».
Il messaggio che stiamo dando è quello di essere una squadra. Così “fare in fretta” può anche diventare un gioco a due, con piccole proposte del genere: «Vediamo chi si infila per primo le scarpe?»
4. «Sono a dieta»
Perché no: Stai cercando di perdere qualche chilo? Tienitelo per te. Se un bambino sente la mamma lamentarsi di “essere grassa” o peggio ancora “cicciona”, potrebbe sviluppare un’immagine corporea poco sana.
Diciamo invece: «Mangio sano perché mi fa stare bene».
5. «Non possiamo permettercelo»
Perché no: Davanti all’ennesimo “Mamma, me-lo-copri-me-lo-compri-me-lo-compri???“, potrebbe venire spontaneo utilizzare una frase del genere per mettere a tacere la richiesta-martello pneumatico. Ma il messaggio che stai inviando è che non sei in controllo delle tue finanze: e questo può spaventare il bambino.
Diciamo invece: «Non lo compriamo, perché dobbiamo spendere i soldi per cose più importanti».
6. «Non parlare con gli sconosciuti»
Perché no: Questo è un grande classico: lo dicevano a noi le nostre mamme e alle nostre mamme lo dicevano le nostre nonne. Per un bambino piccolo, però, il concetto di “sconosciuto” è difficile da afferrare. Può pensare che una persona che ha parlato con lui un paio di minuti in modo gentile sia “un amico”. Oppure potrebbe male interpretare questa regola e rifiutarsi di parlare con poliziotti o vigili del fuoco in situazioni di pericolo.
Diciamo invece: «Se una persona che non conosci bene ti offre una caramella o un passaggio a casa, che cosa fai?».
Ipotizziamo questo e altri scenari con nostro figlio, ascoltiamo le sue risposte e poi guidiamo il suo ragionamento verso il comportamento adeguato da tenere in simili situazioni. E aggiungiamo:
«Se qualcuno o qualcosa ti fa sentire triste, spaventato o confuso, dimmelo subito».
7. «Attento!»
Perché no: Tuo figlio è al parco e punta allo scivolo o a qualche altro gioco? Dirgli di “stare attento” mentre è impegnato a salire i gradini dello scivolo o a dondolarsi da una sbarra aumenterà le possibilità di una caduta. Il bambino può perdere la concentrazione, distraendosi da quello che sta facendo per ascoltarti.
Diciamo invece: Nulla. Se sei in ansia, spostati più vicino a lui, in silenzio e senza essere invadente.
8. «Se non finisci quello che hai nel piatto, non puoi mangiare il dolce»
Perché no: Con queste parole stai semplicemente amplificando il “piacere” del dolce e sottolineando che il resto del pasto sia invece “un faticoso dovere”.
Diciamo invece: «Prima finiamo il pasto, poi mangiamo il dolce».
È una piccola differenza nella scelta delle parole, ma ha un impatto significativo sul messaggio – stavolta positivo – che mandi a tuo figlio.
9. «Ti aiuto io»
Perché no: Quando tuo figlio ha difficoltà a fare qualcosa, ti viene spontaneo offrirti di dargli una mano. Ma non essere troppo ansiosa di aiutarlo. Fare da solo può essere più difficile, ma fa parte del suo percorso verso l’indipendenza.
Diciamo invece: «Che ne pensi, potrebbe essere quello il pezzo di puzzle che va lì? Secondo te?».
Incoraggiamo il processo maieutico con le domande giuste, in modo da farlo arrivare da solo alla soluzione.